STABLE COIN LA VIA PER ESSERE LIBERI DAL FALLIMENTO DEL SISTEMA EURO


BITCOIN SUPERSTAR - CON L'ESENZIONE DALL'IVA SPICCA IL VOLO...POTREMMO ESSERE ALL'INIZIO DI UN MOVIMENTO AL RIALZO DA RICORDARE

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Con sentenza di ieri, relativa alla causa C-264/14Skatteverket vs David Hedqvist, la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito alla natura e al trattamento IVA applicabile alle operazioni consistenti nel cambio di valute tradizionali con valuta virtuale bitcoin e viceversa.

leggi il risultato della sentenza qui di seguito


Secondo la relazione “Schemi di moneta virtuale” pubblicata nell’ottobre 2012 dalla Banca centrale europea, una valuta virtuale è un tipo di moneta digitale, non regolamentata, emessa e controllata dai suoi sviluppatori e utilizzata ed accettata tra i membri di una specifica comunità virtuale. La bitcoin, creata nel 2009, è una particolare tipologia di valuta virtuale, basata sulla crittografia, le cui tecniche operano in tutte le fasi della transazione. La generazione di algoritmi sempre più complessi ne previene “l’inflazione”. È a “flusso bidirezionale”, in quanto può essere sia acquistata che venduta, applicando il tasso di cambio corrente. Tuttavia, si differenzia dalla moneta elettronica poiché quest’ultima è espressa in unità di calcolo tradizionali (ad esempio, l’euro).

Secondo i dati disponibili, la bitcoin è la criptovaluta più diffusa per le operazioni on line; è utilizzata essenzialmente nel commercio elettronico e per l’attività di gioco via web, nonostante possa svolgere le sue funzioni di mezzo di pagamento anche per acquistare beni e servizi reali.
Consente transazioni tanto rapide, se non immediate, quanto anonime, sia in relazione all’utilizzatore che al beneficiario. Il procedimento principale sottoposto a giudizio della Corte riguarda le operazioni che Hedqvist intende porre in essere, mediante il sito internet della propria società svedese, volte ad acquistare unità di valuta virtuale bitcoin da privati, da aziende o da una piattaforma di cambio internazionale, al fine di rivenderle a privati, ad aziende, alla medesima piattaforma di cambio o di depositarle in uno spazio di archiviazione.

Il prezzo di vendita delle unità di bitcoin è determinato in funzione del prezzo di vendita vigente presso la piattaforma di cambio, maggiorato di una percentuale di ricarico, e corrisposto in valute tradizionali quali la corona svedese.

Secondo i giudici comunitari, le valute virtuali, al pari delle valute tradizionali, non costituiscono beni materiali, ai sensi dell’art. 14 della direttiva 2006/112/CE, stante il fatto che, tali valute, al pari delle valute tradizionali, non hanno altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento (sentenza del 14 luglio 1998, causa C-172/96First National Bank of Chicago, punto 25).
Conseguentemente, l’operazione posta in essere dal soggetto svedese non può qualificarsi come una cessione di beni, ma costituisce una prestazione di servizi di cui all’art. 24 della citata direttiva.

Il margine che la società svedese applica, ad integrazione del calcolo del tasso di cambio al quale è disposta a vendere o ad acquistare le unità di “bitcoin”, è prova tangibile del fatto che l’operazione di cui trattasi è una prestazione di servizi a titolo oneroso.
Invero, per orientamento costante della Corte di Giustizia, è del tutto inconferente, ai fini della verifica del requisito dell’onerosità, che detta retribuzione non assuma la forma del versamento di una provvigione o di un pagamento di spese specifiche (First National Bank of Chicago, punto 33). In conclusione, le operazioni di cambio di valute virtuali bitcoin con valute tradizionali e viceversa hanno natura di prestazione di servizi a titolo oneroso, che ricade nel campo di applicazione del tributo ai sensi dell’art. 2, paragrafo 2, lett c) della direttiva 2006/112/CE.

Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ha chiesto di conoscere se le operazioni di cui al procedimento principale possano beneficiare delle esenzioni previste dall’art. 135 per le operazioni finanziarie.

I giudici comunitari escludono che le operazioni in parola possano qualificarsi come:
- operazioni relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti, assegni, ecc. (di cui all’art. 135, paragrafo 1, lett. d) della direttiva 2006/112/CE;
- ovvero, come operazioni riguardanti azioni, quote parti di società, obbligazioni e altri titoli che conferiscono il diritto di proprietà su persone giuridiche (di cui all’art. 135, paragrafo 1, lett. f) della direttiva 2006/112/CE).

La Corte di Giustizia ha, invece, ritenuto, che le operazioni di cui alla questione pregiudiziale rientrino tra le operazioni relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio di cui all’art. 135, paragrafo 1, lett. e) della direttiva 2006/112/CE. Invero, le bitcoin, essendo accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento tradizionali, altra finalità non hanno se non quella, per l’appunto, di mezzo di pagamento. Inoltre, per orientamento costante della stessa Corte, una delle finalità delle esenzioni di cui trattasi è quella di ovviare alle difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile di dette operazioni, nonché dell’importo dell’IVA detraibile. Tematica che, per le valute, si propone in maniera identica, tanto nel caso in cui si tratti di valuta tradizionale, tanto nel caso in cui si tratti di una valuta virtuale a flusso bidirezionale come la bitcoin.


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